MARIO RAPPINI (PSEUDONIMO: MARIO RAPP)

Sempre negli anni settanta ho conosciuto Mario Rappini, brillante scenografo di Fellini e anche noto per la sua “mano settecentesca”. Aveva una grande conoscenza della pittura antica, in particolare delle tempere d’autore che affrescavano chiese e palazzi romani. Mi interessava molto la sua competenza e spesso andavo a trovarlo a studio. Quando gli proposi una mostra delle sue tempere al Bateleur, ne fu felice e mi aiutò ad organizzarla. Nel catalogo volle presentarsi in questo modo:
“Ho fatto scenografie, ho sempre disegnato. Per caso ho conosciuto vecchi decoratori, residui eredi di maestri del ‘700, che conoscevano l’impasto dei colori fatti con le terre, colori che manipolavano con le proprie mani, come pure i pennelli che non sono quelli che si trovano in commercio. Questi artisti sconosciuti e morti tali perché non avevano architetti che potessero dirigerli (abbandonati allo stile “umbertino” o del ‘900 degli anni ruggenti) erano considerati solo di cattivo gusto: questi sono stati i miei maestri.”
Passiamo così in rivista le sue marine, i suoi paesaggi, intrigati e interessati da quella tecnica dimenticata che è il suo vanto; quando parliamo con lui, ci dice in tono entusiasta, additando i cieli dipinti: “Questa è aria aperta” e, come se si trattasse di un grande gioco, fa progetti per il giorno dopo, che realizza con una incredibile rapidità e con la mano sicura del maestro antico, che nel cuore ha l’ingenua purezza dell’artigiano. Egli stesso personaggio rinascimentale, ritrova il suo filo interiore più che mai nel clima della sua infanzia, quello estremamente italiano delle ville patrizie, o della vecchia Roma, vissuta e conosciuta con amore.
Ma stranamente, un po’ come per Henri Rousseau le Douanier (che era convinto di dipingere autorevoli quadri nella maniera degli antichi maestri), è superato da se stesso e dal suo “filtro” anche quando crede di attingere nel passato.
Mario Rappini ci appare l’ultimo “Troubadour” di una tradizione di decoratori italiani, i suoi paesaggi non sono mai copie, sono ricordi, composizioni non prive di ironia (che ci dà la chiave, questa, alla sua autocritica di uomo moderno e spiritoso, quale in effetti egli è) dietro la ricostruzione del suo mondo ideale.

Ci incontravamo in quel periodo a pranzo in varie taverne, insieme a Giovanni Lancellotti, suo grande amico scultore. Le trattorie in gran parte sono molto cambiate nei nostri giorni, ma in quella di via della Chiesa Nuova, dove pure ci incontravamo, forse esiste ancora il grande affresco di Mario Rappini sulla parete della sala interna.
Gianna Paola Cuneo



























